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Invecchiamento della popolazione e imprese

Invecchiamento della popolazione e imprese

Alcune evidenze dai dati Inps

Di Marinella Perrini

I dati dell’INPS costituiscono la base fondamentale per la comprensione dei fenomeni in atto nel mercato del lavoro italiano e del welfare. La profondità delle serie storiche e il dettaglio delle informazioni consentono non solo di fotografare la situazione corrente ma di analizzare cambiamenti strutturali in atto già da molti da anni. Una dinamica che mappa da vicino quello della contrazione della fertilità, anche questo fenomeno di lungo periodo. Il sistema delle imprese non può non risentire di tali cambiamenti, che sono in atto non solo in Italia. Ad esempio, negli Stati Uniti il Bureau of Labor Statistics ha calcolato che l’occupazione dei lavoratori con più di 65 anni è cresciuta del 117% negli ultimi 20 anni. Una crescita riscontrata soprattutto tra i lavoratori full time. È tuttavia difficile comprendere quali siano gli strumenti di policy più adatti per controbilanciare una tale tendenza strutturale. In alcuni casi le politiche pensionistiche sono state chiamate in causa come possibili strumenti di riequilibrio delle tendenze in atto. Alcune ricerche INPS mostrano che queste politiche possono avere problemi nel trasmettere anche nel breve periodo l’incremento dell’età pensionistica a nuovi flussi in entrata per i lavoratori più giovani.

Cosa dicono i dati delle imprese con dipendenti nel settore privato extra agricolo?

Se si guarda ai dati dei lavoratori e delle imprese nel settore privato extra agricolo degli ultimi 42 anni (1980-2022), il cambiamento strutturale in atto con l’invecchiamento della forza lavoro appare in maniera nitida.  Nel grafico 1 si evince che la quota di lavoratori giovani, al di sotto dei 25 anni di età, è diminuita di circa 30 punti percentuali in 40 anni, partendo dal 41% nel 1980, per poi subire una diminuzione progressiva fino al 2015, dove si è attestata all’10,5%, livello su cui è rimasta sostanzialmente stabile (nel 2022 è in leggero aumento all’11,2%). La quota di lavoratori di fascia d’età tra 25 e 39 anni, invece, ha visto un aumento dal 38 (1980) al 50% (2003), per poi subire un calo fino al 35% nel 2022. Le fasce di lavoratori più anziani, infine, hanno visto tutte una tendenza in aumento: la quota di lavoratori tra 40 e 49 anni è aumentata negli ultimi 42 anni dal 13 al 24%; la quota di lavoratori tra 50 e 59 anni è aumentata dal 9 al 22%; quella over 60 è invece aumentata dall’1,7 al 7,2%. Queste dinamiche sono in linea con l’invecchiamento progressivo della popolazione italiana; tuttavia, non si può non evidenziare come il contributo della serie dei lavoratori sopra a 60 anni sia chiaramente in aumento dal 2010, ciò a causa delle riforme pensionistiche che hanno inciso sulla carriera lavorativa di molti lavoratori anziani.

Grafico 1. Evoluzione % della quota di lavoratori per fascia d’età nel settore privato

Interessante notare anche come la serie delle settimane lavorate per fascia di età vari nel tempo con una tendenza decrescente costante dal 1980. Il grafico 2 mostra l’evoluzione delle settimane retribuite nell’anno dei lavoratori del settore privato per fasce d’età. Si nota per tutti i lavoratori, inoltre, il calo delle settimane lavorate nell’anno pandemico e una ripresa sostanziale negli anni successivi, che si porta leggermente oltre i livelli pre-pandemici. Se le fasce d’età centrali mostrano andamenti sostanzialmente uniformi e paralleli, è interessante osservare con più dettaglio gli andamenti delle fasce di età “estreme”: gli under 25, ad esempio, scendono da 36 settimane annue nel 1980 a 26 settimane nel 2022; un calo si osserva anche per gli over 60, che partono da 41 settimane nel 1980 (addirittura al di sopra della media totale, 40 settimane) fino a 27 settimane nel 2012, per poi riprendersi a 31 settimane nel 2022.

La prima evidenza è nota e riguarda l’effetto di flessibilizzazione del mercato in atto dalla fine degli anni 90 subito per lo più da donne e giovani. La seconda evidenza riguarda invece le scelte di lavoro dei lavoratori anziani che affrontano un sistema pensionistico in cambiamento in primis col passaggio più deciso verso il contributivo, e in secondo luogo come già notato in precedenza con l’avvento dell’estensione dell’età di pensionamento al partire dal 2012.

Grafico 2. Evoluzione delle settimane retribuite dei lavoratori per fasce d’età

 

Le tendenze mostrate riguardano tutti i settori dell’economia. Il grafico 3 mostra invece l’evoluzione della media dell’età lavorativa per settore. Tutti i settori hanno avuto un incremento sostanzialmente monotono nell’età media dei lavoratori, anche i settori della sanità e delle imprese di servizi e noleggio, hanno visto aumentare l’età media ei loro lavoratori ma solo a partire dagli anni 90. I settori che hanno esperito l’incremento più notevole dell’età media sono stati la manifattura, la cui età media è incrementata di quasi 16 anni a partire dal 1980 e il commercio (+15 anni). Alcuni incrementi sono diventati più sostanziali a partire dal 2010, come ad esempio le costruzioni o i trasporti, che sono passati rispettivamente da 34 anni (2000) a 42 (2022) e da 37 (2000) a 46 (2022).

Grafico 3. Evoluzione dell’età media dei lavoratori per settore

I dati dei lavoratori nel settore pubblico Inps non hanno una profondità tale da percorrere le carriere lavorative per 40 anni, tuttavia, alcune evidenze riportate nel capitolo 3 dell’ultimo rapporto annuale Inps sui datori di lavoro nel settore pubblico portano a conclusioni molto simili a quelle per il settore privato se non più preoccupanti. Ad esempio, l’Italia ha la percentuale di occupati nella Pubblica Amministrazione cosiddetta “centrale” più anziana di tutti i paesi OCSE: la percentuale di occupati con più di 55 anni calcolata nel 2022 è quasi del 50% (media OCSE circa 26%). Inoltre, se si analizza la percentuale di giovani tra 25 e 34 anni, nel 2020 l’Italia è l’unico paese (insieme alla Grecia) a trovarsi sotto il 5%, laddove la media OCSE è del 19%.

Come influiscono i cambiamenti del sistema pensionistico (nel breve periodo)

Una possibile domanda di ricerca è se l’uscita di lavoratori o il ritardo del loro pensionamento incide in qualche modo sul ricambio generazionale. Tale domanda di ricerca ha trovato risposta in diversi contributi della Direzione Centrale Studi e Ricerche e del programma VisitInps.

Il quadro che se ne ricava è che frizioni nel mercato del lavoro possono rendere difficile nel breve periodo lo scambio generazionale di lavoratori, immagine che sembra essere confermata dai dati. Ciò vuol dire che gli aggiustamenti dovuti al posticipo o all’anticipo pensionistico nel breve periodo possono non produrre effetti sulle carriere dei lavoratori giovani.

Nell’articolo “Career Spillovers in Internal Labor Markets”, redatto all’interno del programma Visitinps, Bovini e coautori studiano l’interazione delle carriere tra colleghi utilizzando la riforma pensionistica del 2011 che ha ristretto i criteri di idoneità per le pensioni forzando alcuni lavoratori ad allungare di fatto la propria carriera a causa di un ritardo non atteso nella data di pensionamento precedente alla riforma. Le evidenze di questo articolo mostrano che almeno nel breve periodo il blocco in uscita dei lavoratori anziani ha ridotto le opportunità di carriera dei giovani colleghi. L’effetto non è molto persistente nel tempo ma in alcune imprese che garantiscono minori opportunità di carriera[1] l’effetto permane per più tempo.

Se si guarda invece all’evento opposto, cioè alle opportunità che nel breve periodo vengono fornite da un anticipo pensionistico, si potrebbe pensare che, mutatis mutandis, anticipare esogenamente l’idoneità alla pensione possa portare a un diretto incremento nella forza lavoro per le imprese che perdono lavoratori anziani, magari a vantaggio dei giovani. Sicuramente, tali politiche indicono un effetto diretto di diminuzione dell’età media dei lavoratori delle imprese.

In un’analisi dell’Inps, che ha trovato spazio anche nel rapporto annuale INPS 2021, si è cercato di guardare all’effetto dell’anticipo pensionistico di politiche che prevedono un anticipo pensionistico (ad es. Quota 100) sulla domanda di lavoro delle imprese. In questa analisi si vuole valutare cosa accade nel breve periodo all’occupazione di quelle imprese che hanno lavoratori idonei alla politica e che li perderanno possibilmente qualora questi dovessero scegliere l’anticipo.

Nei grafici 4 e 5 vengono presentate due analisi di regressione che mostrano il logaritmo degli occupati delle imprese che hanno lavoratori idonei a quota 100 nel tempo. In particolare, il grafico mostra come varia nel tempo la propensione ad occupare lavoratori prima e dopo l’introduzione dell’anticipo. I punti nel grafico si devono interpretare come effetti marginali dovuti all’incremento di un idoneo nell’impresa, il periodo di confronto (benchmark) gennaio 2019. Come si nota dal grafico l’andamento della curva è praticamente piatto.

Grafico 4. Evoluzione dei lavoratori in imprese con idonei Quota 100

 

Ciò vuol dire che anche imprese con molti lavoratori idonei, non reagiscono immediatamente incrementando la forza lavoro. Lo stesso effetto si trova guardando ai lavoratori effettivamente usciti con Quota 100. L’analisi dimostra che almeno nel breve periodo le imprese non cambiano le proprie strategie occupazionali e la propria forza lavoro in relazione all’uscita di lavoratori anziani. Nel medio periodo, inoltre, potrebbero incorrere eventi esogeni, come la crisi pandemica del 2020, che rendono difficile effettuare una crescita occupazionale significativa.

Il grafico successivo mostra un’analisi simile ma effettuata per stimare gli incrementi salariali dei colleghi nelle imprese con idonei a utilizzare quota 100. Come si vede, il profilo salariale di questi lavoratori migliora, sintomo che almeno nel breve periodo il peso del lavoro si sposta dai colleghi in anticipo pensionistico a quelli ancora in azienda.

In conclusione, l’invecchiamento demografico è una realtà in atto e con conseguenze strutturali già visibili da molti anni. L’inasprimento dei requisiti di pensionamento dovuto alla riforma del 2011 ha accentuato tale tendenza. 

Grafico 5. Evoluzione dei salari dei lavoratori in imprese con idonei Quota 100

 

 

 

[1] Imprese che danno meno opportunità di carriera sono le imprese che tendono a promuovere meno spesso, come rilevate dai dati Inps. Una possibile caratterizzazione non espressa nell’articolo ma di buon senso, è quella delle imprese a Management familiare, molto diffuse in Italia: per queste imprese è stata rilevata una minore propensione a promuovere verso posizioni ad alta qualifica probabilmente dovuta al fatto che in tali imprese il managment resta nelle mani della famiglia.