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Il confronto tra l'Italia e gli altri Paesi sui licenziamenti

Il confronto tra l'Italia e gli altri Paesi sui licenziamenti

Dal confronto con analoghi dati a livello internazionale emerge che il tasso di licenziamento negli Stati Uniti è nettamente più alto di quello italiano mentre non accade questo per il confronto con la Gran Bretagna.

Dal confronto con analoghi dati a livello internazionale emerge che il tasso di licenziamento negli Stati Uniti è nettamente più alto di quello italiano mentre non accade questo per il confronto con la Gran Bretagna. La reattività del mercato del lavoro al deflagrare della crisi è stata decisamente più marcata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna: in entrambi questi due Paesi i tassi di licenziamento sono “esplosi” nel 2009 per poi ridimensionarsi con rapidità mentre non altrettanto si osserva per l’Italia, dove i tassi di licenziamento sono cresciuti più lentamente come pure altrettanto lentamente sono ritornati a scendere verso i valori standard pre-crisi. La variabilità dei tassi di licenziamento, per settori e regioni, è altissima: nel 2014 si va da tassi di licenziamento attorno all’1-2% nell’industria manifatturiera con più di 15 dipendenti del Centro-Nord fino a valori-limite del 40% nel settore delle costruzioni al Sud. Nelle grandi regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna) il tasso medio di licenziati si colloca attorno al 5%, nelle regioni del Sud è sempre superiore al 10%. Il tasso di licenziamento per settore risulta ancor più polarizzato: in particolare si registra un livello molto alto per costruzioni (oltre il 20%) e alberghi-ristoranti.

L’analisi dell’INPS sui dati dei licenziati mostra anche cosa accade dopo il licenziamento: i due terzi dei lavoratori licenziati accedono agli ammortizzatori sociali mentre il 20% si ricolloca entro brevissimo tempo; la quota restante (attorno al 10%) è formata, tra l’altro, da licenziati che non hanno i requisiti per accedere ad un ammortizzatore; inoltre è rilevante la presenza di stranieri.